
I dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Europa attraverso il rapporto MeND (Mental Health of Nurses and Doctors) confermano una situazione di grave emergenza psicologica per il personale sanitario in tutta Europa e in Italia.
L’indagine, condotta su oltre 90mila operatori sanitari in 29 Paesi, rileva che un medico e un infermiere su tre soffrono di depressione o ansia, e uno su dieci ha avuto pensieri suicidari nelle due settimane precedenti. In Italia, i dati non sono meno preoccupanti: il 28% dei medici e il 32% degli infermieri presenta sintomi depressivi, mentre il 24% manifesta disturbi d’ansia. Più di un operatore su dieci ha dichiarato di aver avuto pensieri di suicidio passivo.
“Questi numeri sono uno schiaffo alla coscienza collettiva e alle istituzioni sanitarie. La sindrome di burnout è diventata una vera e propria epidemia professionale, alimentata da turni estenuanti, precarietà contrattuale, carenza di personale, violenze verbali e fisiche. È inaccettabile che chi dedica la propria vita a curare gli altri venga lasciato solo, fino al punto da pensare che sarebbe meglio morire”, dichiara Gianluca Giuliano, Segretario Nazionale di UGL Salute.
UGL Salute sottolinea con forza che la salute mentale degli operatori sanitari è una componente fondamentale della sicurezza e dell’efficienza del sistema sanitario nazionale. Se chi cura è malato, tutto il sistema è a rischio.
“Il burnout non è una debolezza individuale, ma la conseguenza di un sistema che schiaccia i lavoratori sotto carichi insostenibili, senza offrire sostegno né riconoscimento. È tempo di intervenire con misure concrete e strutturali”, prosegue Giuliano.
Per questo, UGL Salute chiede al Governo, alle Regioni e alle Aziende sanitarie pubbliche e private di intervenire con urgenza su sei punti fondamentali:
1. Riconoscimento formale della sindrome di burnout come malattia professionale per tutti gli operatori sanitari;
2. Attivazione obbligatoria di sportelli di supporto psicologico permanente in tutte le strutture sanitarie;
3. Assunzioni stabili per superare il precariato e ridurre i carichi di lavoro;
4. Revisione dei turni e rispetto dei tempi di riposo minimi previsti;
5. Applicazione rigorosa di misure di prevenzione e contrasto alla violenza sui luoghi di lavoro;
6. Istituzione di un sistema di monitoraggio costante del benessere psicologico del personale.
“La salute mentale degli operatori sanitari deve essere considerata una priorità nazionale, non più un tema marginale. Ogni giorno che passa senza interventi aumenta il rischio di perdere altri professionisti per disperazione o esaurimento. Se non proteggiamo chi cura, mettiamo a rischio l’intera tenuta del nostro sistema sanitario”, conclude Giuliano.